Primavera: Quando la Molla Non Scatta

Primavera: Quando la Molla Non Scatta

Mi ha sempre incuriosito il fatto che il termine inglese per primavera significhi anche ‘molla’. Rimanda alla spinta che alle soglie della primavera la natura, e anche noi umani in quanto parte di essa, avvertiamo. L’inverno, il buio, la neve, il freddo che ci hanno fatto cercare il riparo delle case, delle coperte cedono il passo alla luce, al tepore, al vento. Un vento che è sinonimo di cambiamento.

Siamo pronti a cambiare? A buttare le cose vecchie e cercarne delle nuove? A sentirci diversi, più giovani (seppur con una primavera in più)? Mi viene in mente un’altra parola inglese, che, come molte in quella lingua, è onomatopeica: stuck, ‘bloccato’, ‘incollato’ o anche’nei guai’. Quando non riusciamo a reagire ad una sollecitazione positiva, siamo, in effetti, bloccati dai nostri guai. Succede ad alcuni che la primavera risvegli sentimenti di paura o sensazioni di blocco anziché di slancio. Il fatto poi che tutto il resto intorno – le giornate più lunghe, il canto degli uccelli, il colore del cielo – invitino a risvegliarsi, per alcune persone è una ferita dolorosa e sanguinante. Perché?

‘La pietra vuole essere eternamente pietra e la tigre una tigre’ scrive Borges [1] in un racconto in cui sente di avere due personalità: una pubblica del grande scrittore e una più privata che sente di voler proteggere da sguardi indiscreti. Credo che questo ‘istinto di conservazione del privato’ sia una caratteristica che facilmente si sviluppa in inverno più che nelle altre stagioni.

I cambiamenti, per quanto positivi come quelli fra la cosiddetta’brutta’ stagione e quella ‘bella’, sono comunque avvertiti come delle perdite, micro perdite, dell’identità così gelosamente – e forse un poco regressivamente – conquistata durante l’inverno.

Alcuni possono sentirsi a disagio al pensiero di dover mostrare il proprio corpo; il lungo e avvolgente cappotto sostituito da un corto e aderente giacchino destinato ad essere tolto anch’esso non appena la temperatura lo renderà eccessivo, fino all’estate e all’incubo del bikini.

Per altri è più una questione di umore; uscire, dedicarsi ad attività che comportino l’incontro con altre persone può essere faticoso come una montagna da scalare. Sentire, come Borges, da una parte l’esigenza di uscire – metaforicamente – dal proprio guscio e di osare la vita che si sarebbe sempre voluta e, dall’altra, temere di non riuscire, temere di dover assistere al proprio insuccesso.

Ecco che la molla della primavera si blocca, schiacciata da un eccesivo peso che è fatto di paura. Una delle paure più sottili eppure pervasive dell’essere umano è quella di non essere all’altezza del proprio ideale di sé. Il meccanismo – quasi totalmente inconscio – inizia con un ragionevole voler ‘ben figurare’ poi, se ci si accorge di non poter arrivare al risultato sperato o anche solo si teme di non poterci arrivare, allora si desiste dall’azione, ci si racconta che è stato meglio non provare poi ci si lenisce il dolore provato con un innalzamento delle aspettative. Questo nuovo obiettivo, ancora più difficile, sarà di nuovo eliso, cioè fatto capitolare, a favore di uno successivo.

A forza di elisioni e di elusioni il distacco dalla realtà aumenta per lo meno fintanto ché qualcosa non ci incita a cambiare. I cambi di stagione hanno la proprietà di farci avvertire che il cambiamento è possibile, che i semi dei progetti pensati durante l’inverno possono finalmente germogliare, che possiamo finalmente concretizzare qualche sogno.

Questo è il punto in cui la molla è pronta a scattare e, se non viene eccessivamente schiacciata dal timore di non riuscire, allora ci potremo avvantaggiare della sua forza propulsiva. Come dire che, pur con tutte le nostre paure, “ [quando] S’alza il vento….Bisogna osare vivere!” [2]

 

Dottoressa  Giuliana Gibellini
Psicologa-psicoterapeuta
Specialista in psicologia clinica
Info 339 4686175