30 Ott Diritto all’Oblio
Un caso pratico del diritto all’oblio: la ricerca assistita di Google. Con provvedimento del 24 novembre 2016, il Garante per la Privacy ha analizzato un altro ricorso in materia di diritto all’oblio, disponendo la rimodulazione delle modalità di funzionamento del servizio di ricerca assistita (c.d. autocomplete) del noto motore di ricerca.
Il ricorso prende avvio in seguito alle lamentele di un imprenditore il quale si sentiva leso nel suo diritto all’oblio in quanto sul motore di ricerca risultavano una serie di link in cui il suo nome veniva associato ai reati di estorsione, usura e truffa. In particolare questi risultati erano contenuti in due link collegati al sito on line di un noto quotidiano, e che in seguito a queste notizie, che il ricorrente dichiara prive di fondamento e per le quali aveva già avviato dei procedimenti giudiziari nei confronti della testata giornalistica, dichiara di aver subito non solo la lesione della sua reputazione ma anche delle minacce (dei biglietti anonimi).
Alla luce di ciò il ricorrente chiedeva la rimozione dei due url agli articoli, degli snippet e la rimozione dalla ricerca assistita del motore di ricerca della combinazione del suo nome con la parola “minacce”.
A supporto della propria richiesta il ricorrente evidenziava nel ricorso, come nella richiesta di rimozione dei contenuti preventivamente inviata a Google, oltre la presenza dei procedimenti di natura giudiziari in materia diffamatoria, la mancanza del requisito dell’interesse pubblico alla reperibilità della notizia in quanto non vi era alcun accertamento dell’autorità giudiziaria di cui dar notizia, né tantomeno quello del profilo professionale pubblico del ricorrente in quanto di natura squisitamente privato.
Altra lamentela riguardava l’abstract o c.d. snippet del contenuto in cui il suo nominativo veniva posto in evidenza relazionato alle presunte condotte criminali. Infine evidenziava che la parola “minacce” suggerito dal servizio autocomplete di Google di fianco al suo nome ancora prima di digitare l’invio era lesivo della sua reputazione ingenerando nell’utente l’idea che egli fosse stato responsabile delle condotte di cui sopra.
Da parte sua Google rispondeva che in seguito alla sentenza “Costeja” della Corte europea di giustizia Ue (C-131/12) del 13 maggio 2014 e alle “linee guida” del WP 29 (gruppo di lavoro articolo 29), la richiesta del ricorrente atta a ottenere l’eliminazione totale dalla rete delle notizie in discussione non fosse possibile, inoltre evidenziava che il diritto alla reputazione e all’onore è un diritto che va esercitato nei confronti dell’autore della fonte e che comunque per effettuare la richiesta di rimozione dei contenuti il ricorrente non ha aspettato la presenza di un provvedimento giudiziario risolutivo sulla veridicità dei fatti.
Google esponeva altresì che sia riguardo agli snippet che al servizio di autocomplete il software si limita nel primo caso a cogliere in maniera oggettiva gli elementi più rilevanti della fonte di cui cita il link, mentre nel secondo caso riporta i termini di ricerca più utilizzati dagli utenti. Infine, concludeva dicendo che la richiesta del ricorrente era priva del requisito dell’elemento temporale, come indicato nella citata sentenza della corte europea, e che lo stesso imprenditore riguardo al proprio profilo, si era definito di “rilievo pubblico”.
A tutto ciò il Garante rispondeva stabilendo che in ottemperanza a quanto indicato dalla sentenza Costeja (e dalle linee guida WP 29), il ricorrente [n.d.a.persona fisica] è legittimato a esercitare il diritto all’oblio nei confronti del motore di ricerca in quanto trattasi di url rinvenibili on line associabili al suo nominativo, che altresì il ricorrente ha correttamente coinvolto il motore di ricerca in quanto responsabile di un autonomo trattamento dei suoi dati personali.
Infatti su questo ultimo punto si ricorda come priva di pregio sia la difesa del motore di ricerca sul fatto che esso restituisca contenuti scritti e messi a disposizione da altri, infatti, come dice la sentenza che essa stessa richiama l’attività di organizzare, estrarre, registrare e organizzare i contenuti per poi restituirli a fini della direttiva Ue è da considerarsi un trattamento di dati, valido anche nel caso in cui i contenuti siano immessi on line tali e quali da soggetti del mondo dei media (cfr. sentenza Costeja, p.ti 27-30: 27. So far as concerns the activity at issue in the main proceedings, it is not contested that the data found, indexed and stored by search engines and made available to their users include information relating to identified or identifiable natural persons and thus ‘personal data’ within the meaning of Article 2(a) of that directive.
28 Therefore, it must be found that, in exploring the internet automatically, constantly and systematically in search of the information which is published there, the operator of a search engine ‘collects’ such data which it subsequently ‘retrieves’, ‘records’ and ‘organises’ within the framework of its indexing programmes, ‘stores’ on its servers and, as the case may be, ‘discloses’ and ‘makes available’ to its users in the form of lists of search results. As those operations are referred to expressly and unconditionally in Article 2(b) of Directive 95/46, they must be classified as ‘processing’ within the meaning of that provision, regardless of the fact that the operator of the search engine also carries out the same operations in respect of other types of information and does not distinguish between the latter and the personal data.
29 Nor is the foregoing finding affected by the fact that those data have already been published on the internet and are not altered by the search engine. 30 The Court has already held that the operations referred to in Article 2(b) of Directive 95/46 must also be classified as such processing where they exclusively concern material that has already been published in unaltered form in the media. It has indeed observed in that regard that a general derogation from the application of Directive 95/46 in such a case would largely deprive the directive of its effect (see, to this effect, Case C-73/07 Satakunnan Markkinapörssi and Satamedia EU:C:2008:727, paragraphs 48 and 49”).
Altresì prendeva atto che al tempo della decisione i link di cui trattasi non erano più indicizzati e che pertanto su questo punto (ivi compreso la domanda sulla rimozione degli snippet), pertanto, disponeva il non luogo a procedere. Con riguardo alla funzione autocomplete, invece, il Garante disponeva che “la predetta associazione risulta pregiudizievole per l’interessato in quanto effettuata mediante l’utilizzo di una parola [n.d.a. “minacce”] idonea ad ingenerare nell’utente della rete il sospetto che il ricorrente sia stato comunque coinvolto in attività illecite, tenuto anche conto dell’avvenuta rimozione del contenuto dal quale la medesima è stata probabilmente originata (ovvero il secondo degli articoli contestati dal ricorrente) e della conseguente impossibilità per l’utente di verificare la reale consistenza della predetta associazione” (Garante per la Privacy Italiano, provvedimento n. 496/2016).
Alla luce di tutto ciò il Garante ha disposto l’accoglimento parziale della domanda del ricorrente, ovvero quella in merito alla funzione di ricerca assistita, in quanto ha rinvenuto la pregiudizialità dell’associazione nell’impossibilità da parte dell’utente di verificare anche la fondatezza, o comunque le fonti, inerenti tale associazione.
In definitiva, oltre a confermare alcuni dei noti principi in materia di diritto all’oblio a suo tempo cristallizzati dalla nota sentenza della Corte di Giustizia Ue, e dalle linee guida WP 29, il Garante ritiene che tra le diverse sfaccettature applicative del diritto all’oblio vada annoverata anche quella secondo cui un suggerimento di tipo autocomplete privo delle relative fonti on line, presso cui eventualmente verificarne l’attendibilità, dia diritto alla sua rimozione.
A cura della Redazione Wolters Kluwer, Quotidiano Giuridico. Garante per la Privacy, provvedimento 24 novembre 2016, n. 496
Avvocato Francesco Murru
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