30 Ott Danno da Cose in Custodia
IL CASO: Supermercato responsabile se la cliente cade dalla scala mobile. Con sentenza dell’11 gennaio 2017, il Tribunale di Como ha preso posizione su una questione frequentemente affrontata dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, definendo da un lato, quale sia l’ambito di applicazione e la natura della responsabilità ex art. 2051 c.c., e dall’altro, quali siano i danni, in concreto, risarcibili.
L’attrice ha citato in giudizio un supermercato e una società, con esercizio commerciale al piano superiore del supermercato, al fine di accertare e dichiarare la loro responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c. e condannarli, anche solidalmente, al risarcimento dei danni patiti e patiendi in conseguenza di un infausto evento occorsole.
Parte attrice, infatti, nell’utilizzare la scala mobile che dal supermercato conduceva al piano dove ha sede la società, a causa di un malfunzionamento della scala stessa, era caduta rovinosamente a terra, riportando diverse lesioni.
Si sono costituiti entrambi i convenuti, contestando le deduzioni attoree: più specificamente, il supermercato, a sostegno della propria assoluta estraneità, ha evidenziato che, tramite la stipulazione del contratto di affidamento in gestione di reparto concluso con la società convenuta, la scala mobile è rimasta a servizio dell’edificio e nella disponibilità della concedente società.
Dal canto suo, la società, senza negare la propria qualità di custode, si è limitata a confutare la mancanza della prova del nesso causale tra la cosa da lei custodita (appunto, la scala mobile) ed il danno subito dall’attrice.
Il Tribunale di Como, istruita la causa con produzioni documentali, l’espletamento di prove orali e della ctu del medico legale, ha ritenuto fondata la domanda di parte attrice e ciò sulla base di diverse considerazioni che si cercherà di riordinare nel proseguio.
Anzitutto, fondamentale è stato il contributo dei testi escussi i quali avevano, concordemente, dichiarato che il corrimano destro della scala mobile presentava un malfunzionamento, «in quanto procedeva “a scatti” e ad una velocità diversa rispetto a quella dell’impianto».
Tali dichiarazioni risultavano conformi alle risultanze della fase istruttoria espletata nel corso della quale non era mai emerso che l’attrice avesse utilizzato l’impianto in maniera impropria o, comunque, non conforme all’uso della cosa.
Il Tribunale di Como ha ritenuto, dunque, di dover preliminarmente escludere la configurabilità di una qualche responsabilità in capo a parte attrice.
Pertanto, il Tribunale ha ritenuto che la vicenda dovesse trovare la propria tutela giuridica nel disposto di cui all’art. 2051 c.c., la cui ratio è quella di configurare (e limitare) la responsabilità in capo all’unico soggetto in grado, materialmente, di controllare i rischi inerenti alla cosa, avendo su di essa un «effettivo potere fisico» ed il conseguente dovere di vigilarla e mantenerla sotto il proprio controllo.
Il Tribunale ha proseguito la sua “indagine”, aderendo all’impostazione giurisprudenziale largamente maggioritaria secondo la quale la natura della responsabilità disciplinata dall’art. 2051 c.c., è oggettiva. Essa, infatti, prescinde dall’accertamento dell’elemento soggettivo: ciò che può, eventualmente, sollevare il custode è la prova liberatoria del caso fortuito che deve essere dallo stesso allegata sia in termini di «accadimento assolutamente eccezionale, imprevisto e imprevedibile» sia di «condotta dello stesso danneggiato», che abbia eliso il nesso di causalità tra “mancata custodia” e danno.
Per contro, la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia è oggettivamente configurabile qualora le medesime siano idonee di per sé «a sprigionare un’energia o una dinamica interna alla struttura, tale da provocare il danno», esattamente come sarebbe avvenuto nel caso esaminato dal Tribunale nella sentenza in commento.
Posta l’intrinseca “pericolosità” della cosa in custodia, il Tribunale è passato a verificare quale soggetto avesse, effettivamente, il potere di fatto di esercitare il dovuto controllo sull’impianto. Ebbene, sono stati ritenuti elementi sufficienti a ritenere responsabile la (sola) società:
— l’ubicazione della scala mobile il cui utilizzo era necessario ai fini del raggiungimento del piano dell’edificio dove la società svolgeva la propria attività commerciale;
— la stipulazione del summenzionato contratto di affidamento in gestione di reparto, dal quale desumere la responsabilità esclusiva della società ai sensi dell’art. 2051 c.c.;
— la mancata prova liberatoria del caso fortuito che, in ipotesi, sarebbe dovuta essere fornita dalla società, ma che, concretamente non lo è stata.
Per quanto attiene ai danni risarcibili, il Tribunale ritiene vengano in rilievo sia quelli patrimoniali sia quelli non patrimoniali: relativamente ai primi, la ctu medico legale espletata in fase istruttoria, riconosceva la congruità delle spese mediche sostenute da parte attrice.
Relativamente, invece, ai danni non patrimoniali il Tribunale ha ritenuto opportuno procedere alla liquidazione in via equitativa ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c., avvalendosi, a tal proposito, delle conclusioni della ctu medico legale la quale aveva accertato la sussistenza della lesione dell’integrità psico-fisica.
Il Tribunale ritiene opportuno, inoltre, “personalizzare” il danno, avendo riguardo all’età del danneggiato e alla (accertata) gravità della lesione, applicando le tabelle fissate dal Tribunale di Milano per il 2014.
Ulteriori considerazioni sono svolte dal Tribunale di Como in merito alla personalizzazione del danno non patrimoniale: si chiarisce, infatti, che occorre tenere in considerazione il pregiudizio patito dal danneggiato, consistente nel «transeunte turbamento psichico subito in conseguenza del danno, da ritenersi sussistente in via presuntiva alla luce dell’accertata lesione psico-fisica, del fatto illecito di cui si è vittima, dell’età ed, ancora una volta, della situazione concreta in cui si è verificato il danno».
Così, l’organo giudicante torna a pronunciarsi sul tema del c.d. danno morale, da intendersi non come autonoma categoria, ma come figura descrittiva di un aspetto del danno non patrimoniale (Come già statuito da Cass. sez. unite 11 novembre 2008, n. 26972) da liquidarsi sempre in via equitativa.
A cura della Redazione Wolters Kluwer, Quotidiano Giuridico. Tribunale di Como, sez. I, sentenza 11 gennaio 2017
Avvocato Francesco Murru
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