21 Ott Chiamare le Galline
La tematica di questa piccola ricerca può sembrare insignificante; piccole cose non troppo degne di essere ricordate. Ma se si riflette un attimo, si capisce subito che dietro a questi ingenui richiami ci sono storie e tradizioni di generazioni, probabilmente di secoli.
Ciò che abbiamo sentito dalla nonna, essa stesso lo aveva appreso dalla sua e così via. Si tratta dunque di minuscoli reperti “archeologici” della tradizione.
L’allevamento domestico delle galline era molto diffuso, sia in campagna che in città. Anche in giardino a casa mia c’era un pollaio fino ai primi degli anni ’60 e ne conservo un vago ricordo.
Poi arrivò moderno regolamento di polizia urbana che vietò per igiene e molestia (l’insistente canto di qualche galletto) questo antico uso.
Valeva la pena di fissare anche questi ricordi sulla carta, come testimonianza di un passato al quale non possiamo che guardare con nostalgia. Ho aggiunto anche qualche curiosa nota e un paio di gustosi aneddoti.
Oscar Clò (Campogalliano) – Sua nonna quando era ora di dar da mangiare alle galline usciva in cortile e ripeteva: “Jiin, jiin, jiin! ” e tutte le galline gli arrivavano intorno.
Luciana Tosi (Carpi – Budrione)- L a gh à ’na fòoto d sò noona ch la pèer cal ritràat chè insimma!!! Lée la li ciamèeva acsè:”Còoochi … còoochi … còooochi!” E lóor i rivèeven subìtt.
William Lugli (Limidi di Soliera) – Ricorda una zia ch la dgiiva: ”Piriii … piriii … pirii!”
Mauro Magri(Carpi) al gh à in meint che sò siina (la zia) la giiva aanca lée: “Pirii, pirii, pirii…”
Paolo Pasini (Carpi) – Sò nòona la ciamèeva: “Chè … chè … chè!”
Claudia Soliani (Carpi) – Sua madre dice tutt’ora: “Ciciun saa … ciciun saa!”
Luongo Enzo Crescenzio (carpigiano di origini meridionali) – Sua madre invece usava:”Pirin, pirin, pirin!” Era partenopea e non conosceva il dialetto di Carpi, ma le galline si sa … erano e sono poliglotte !!!!
Deanna Bulgarelli (Carpi – Migliarina) – Sua nonna le chiamava:”Ciini, ciini!”
Lo stesso modo usato dalla nonna di Giliola Pivetti (Carpi).
Nicola Gavioli (Carpi) riferisce che sua nonna chiamava:”Pulii, pulii, pulii…”
Marzia Sala (Carpi)- “Còoochi, còooochi, còoochi!” Detta a mò a di cantilena onomatopeica, l’è la versiòun ch a la cgnuus aanca mé.
Mauro D’Orazi (Carpi) per i pulcini c’è il classico: “Pio, pio, pioooo, …” … per chiamarli.
Giorgio Rinaldi (Vignola – Folclore contadino) – sua nonna le chiamava così:”Póoti, póoti, póoti, …” (La o stretta e la “t” col “falso raddoppiamento” settentrionale). Alla lettera, il richiamo potrebbe essere così tradotto: “Bambine, bambine, bambine …/ puttine – putèini /piccoline”.
Desidera a tal proposito far notare un parallelismo basato sull’affettuosità e quindi l’importanza attribuita all’animale tra il definire il maiale “ninètt” o “ninèin”, cioè animaletto, animalino (animale per eccellenza) e le galline “póoti”, cioè piccolette, bambine.
Luisa Pivetti (Carpi – San Marino) ricorda che nella frazione di San Marino dove abitava, sua nonna radunava le galline con questo richiamo:”Cin, cin, cin, cin, cin … “. Luisa ritiene che possa essere un’abbreviazione fonetica di ” Cinni, cinni, cinni, cinni, cinni ” (voleva forse dire piccole, piccole … venite qui?).
Alcide Boni (Carpi) racconta che la zia in campagna quàand la ciamèeva al galèini la giiva:”Còochi, còochi, còoochi …” Dòop trée vòolti èl gh éeren tutti adòos.
Fiorella Urbini (Carpi) ricorda quando era piccola che i suoi avevano un piccolo fondino a Limidi gestito da una famiglia di mezzadri con cui avevano un rapporto di amicizia; la reṡdóora quando dava da mangiare alle galline, diceva: “Co cococococo, co cococococo …” varie volte.
Tiziano Pace Depietri (Carpi) segnala ch a gh è anch:”Coo-coo-coo-coo-coo-coo …” o anche “Ciri-ciri-ciri… ciriii!”
Erminio Ascari (Carpi, di origini reggiane) segnala: “Cooo, cooo, cooooo! Pio, pio, piooo! Pùii, pùii, pùiiii!”
Matteo Bocciolesi (reggiano di origini suzzaresi) ricorda che sua nonna di Suzzara chiamava anatre, galline, colombi tutti con una frase: “Papìin, pàpìin, papìin, ciciuni sà, m-m-m”. I “papin” sono le anatre; le “ciciuni” sono le galline, m-m-m è il verso gutturale del piccione … e l’aia si riempiva!
Gaziano Malagoli (Carpi) ha sempre sentito sia: “Còochi, còochi …” che “Cò, cò, cò … e “Pìo, pìo,” per i pulcini.
Anna Maria Ori (Carpi) ricorda che quando era piccola a Montecreto la madre Maria le chiamava con: “Piita, pita, pita …”. Un richiamo ripetuto tre volte e molto in fretta, con la “i” più lunga la prima volta.
È curioso come ci sia in tutte o quasi le frasi ricordate l’uso della “i”, forse per una sensibilità particolare di questi animali al suono acuto.
Anche i gatti vengono chiamati con la “i”:”Mimìiiin, mimìin …”.
Al còoregh pèr la ciòosa e i pulṡèin
Nella stupenda foto (qui riportata) degli anni ’50 si può notare l’abbigliamento delle bimba con maglioncino 4 stagioni, di lana per la primavera – estate -autunno ed inverno. La differenza la faceva la gonnellina, per la primavera e l’estate, mentre per l’autunno e l’inverno c’erano i pantaloni o tutt’al più le calze pesanti sotto il solito gonnellino.
Il caschetto tipo Caterina Caselli è la conseguenza di uno spiccio taglio casalingo realizzato in economia con scodella da caffelatte collocata sulla testa.
Da notare la catenina al collo, regalo da Cresima degli zii ed il braccialetto, sempre a cura degli zii, dato in qualche altro anniversario o caduta di denti. La cosa più bella però è l’espressione della bimba che, complice la sua paffutaggine, risulta essere tra lo stupito e lo stordito, tra l’indeciso e l’impietrito di fronte agli animaletti. Il bimbo sembra fotografato in mutande, una consuetudine abbastanza normale all’epoca, porta il solito maglioncino 4 stagioni in lana.
Questa foto può essere capita nella sua essenza solo da chi nato prima del boom economico di Carpi e dell’Italia in generale. Si vede in questa immagine un trascorso vissuto con una ingenuità e naturalezza che forse, oggi, difficilmente si ritrova nei bambini.
assieme a Vanni Fregni (Carpi)
I lèeder èd galèini
Durante i furti notturni da parte di lèeder èd galèini, gli animali non venivano certo chiamati, ma erano catturati in silenzio e al buio, mentre avevano gli occhi ancora chiusi.
Divenne famosa negli anni ’50 una coppia di ladruncoli che utilizzavano una tecnica particolare: a gh éera l infurnadóor. I due ladretti facevano un buco in una parete del casotto del pollaio, oppure passavano direttamente dal burlèin (sportellino) dal pulèer. Uno di essi teneva un sacco aperto e l’altro, tale Fiaschìin, vi infilava cautamente un lungo bastone allo stesso modo in cui si introduce una paletta in forno da pane o da pizza. Tich … Tich … Toccava delicatamente le zampe di una gallina, questa al buio sentiva un nuovo appoggio, cambiava posizione e si aggrappava al bastone. A questo punto l infurnadóor al “desfurnèeva (sfornava)” e al cavèeva fóora piàan piàan al pùi che finiva subito nel sacco.
Anche Carlo Lodi (Carpi) conferma questo singolare metodo: aveva un amico più vecchio di lui che, durante la guerra, ogni tanto si arrangiava in quel modo. Era una tecnica efficace che funzionava bene, diceva lui.
Molto nota è anche la sfortunata e più che altro leggendaria avventura capitata a due piccoli malfattori che nottetempo avevano praticato un buco nel pollaio per potere rubare qualche pennuto.
Uno dei ladri mise dentro la testa per capire dove allungare la mano. Il problema era però che il contadino, stanco di altri furti subiti, era all’erta dentro al pollaio con in mano un robusto bastone.
Appena vide il ladro introdurre la testa gli menò fra naso e bocca una secca e violenta bastonata.
Lo sventurato, colto di sorpresa, cacciò un urlo e nel contempo uscì dal buco con una mano sulla bocca.
Il complice non capiva: “Mò ’s’ è sucèes??” chiese più volte.
Riavutosi un attimo dall’intenso dolore, sempre con la mano sulla bocca sanguinante, rispose al compare: “Va dèinter tè, ch a m scaapa da ridder!”
La frase, nella più diffusa variante “Va avaanti tè, ch a m scaapa da ridder!”, si è trasformata in un modo dire e viene usata comunemente come tipico atteggiamento nei confronti di un’enunciazione di un’idea
altrui, forse bella, forse utile, ma particolarmente onerosa o non priva da pesanti negative controindicazioni. In pratica vuol dire: “Sì! Certo ! Ma fallo prima tu…”.
Anche l’espressione “ladro di polli o di galline” definisce personaggi di infimo spessore qualitativo umano.
A cura di Mauro D’Orazi, Dal gruppo Conosci il dialetto carpigiano di FB e Revisione del testo di Graziano Malagoli
Mauro D’Orazi
Esperto in Dialetto Carpigiano