04 Nov Professione Guida Turistica
IL CASO: limita la concorrenza la previsione di un’abilitazione regionale specifica per guide turistiche. Il potere attribuito alle singole Regioni per il rilascio di una specifica abilitazione all’esercizio della professione di guida turistica con ambito limitato alle stesse, oltre che generico ed indeterminato, è limitativo della concorrenza alle prestazioni di servizi in contrasto con la Costituzione e il rispetto dei principi dell’Unione europea.
Il ricorso esaminato dal Tar Lazio ha riguardato l’impugnazione del decreto ministeriale che disciplina i requisiti necessari per l’abilitazione allo svolgimento della professione di guida turistica, nella parte in cui è stato previsto un nuovo esame per specifici siti individuati e sono state limitate le prestazioni nell’ambito di appartenenza regionale e provinciale. In particolare, i ricorrenti hanno rilevato la contrarietà della normativa di riferimento non solo rispetto alla Costituzione ma anche alla Carta di Nizza, oltre che ai principi di buon andamento e ragionevolezza dell’azione amministrativa, di certezza dei rapporti giuridici e del legittimo affidamento.
La legge europea del 2013, dettata sulla base dell’apertura da parte della Commissione europea del caso EU Pilot 4277/2012, prevede espressamente la validità “su tutto il territorio nazionale” dell’abilitazione alla professione di guida turistica. Ai fini dell’esercizio stabile in Italia dell’attività di guida turistica, infatti, il riconoscimento della qualifica professionale conseguita da un cittadino dell’Unione europea in un altro Stato membro ha efficacia su tutto il territorio nazionale. I cittadini europei possono operare in regime di libera prestazione dei servizi senza necessità di alcuna autorizzazione né abilitazione, sia essa generale o specifica.
Nondimeno, con la legge europea in questione è stato attribuito al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, il potere di individuare, con apposito decreto ministeriale, i siti di particolare interesse storico, artistico o archeologico per i quali sarebbe stata necessaria una specifica abilitazione. Sulla base del potere attribuito da tale norma, è stato adottato l’impugnato decreto ministeriale dell’11 dicembre 2015 con il quale è stata prevista una nuova abilitazione regionale per tali siti localizzati all’interno di un determinato territorio.
A parere del Collegio, sia esaminando la previsione legislativa sia guardando alla pregressa giurisprudenza della Corte costituzionale già pronunciatasi sul tema, deriva che la previsione del terzo comma dell’articolo 3 della legge n. 97 del 2013, che consente l’introduzione di un limite alla libera concorrenza in relazione alla tutela di siti particolarmente rilevanti, deve essere interpretato in via restrittiva, nel senso di attribuire al Ministero un potere eccezionale di escludere l’applicazione della disciplina generale.
Tale interpretazione, ha proseguito il Collegio, risulta altresì conforme a quanto precedentemente affermato dalla Corte di Giustizia, la quale ha ritenuto compatibili alcune restrizioni alla libera prestazione di servizi, ma solo qualora sussistano esigenze imperative di interesse generale e lo stesso risultato non possa essere ottenuto con provvedimenti meno incisivi.
Peraltro, sulla base di quanto già affermato dalla Corte costituzionale, ha proseguito il Tar, appare evidente che una norma regionale di siffatta natura introduce una barriera all’ingresso nel mercato, in contrasto con il principio di liberalizzazione introdotto dal legislatore statale e pone a rischio l’efficienza e la competitività del sistema economico, che risentono della qualità della regolazione. Tale tipo di normativa, infatti, condiziona l’agire degli operatori economici e costituisce una regolazione delle attività ingiustificatamente intrusiva che risulta, pertanto, non necessaria e sproporzionata rispetto alla tutela di beni costituzionalmente protetti. Una simile previsione, inoltre, genera inutili ostacoli alle dinamiche economiche, a detrimento degli interessi degli operatori economici, dei consumatori e degli stessi lavoratori e, dunque, in definitiva reca danno alla stessa utilità sociale.
Ne consegue, ha proseguito il Collegio, che il potere attribuito alle Regioni per il rilascio di una ulteriore abilitazione all’esercizio della professione di guida turistica con ambito limitato alla Regione, oltre che generico ed indeterminato nella formulazione (“procedono ad organizzare sessioni d’esame”- restando, quindi, indeterminato se per tutti i siti regionali o per gruppi di siti o anche per un singolo sito) è limitativo della concorrenza alla prestazioni di servizi in contrasto con la Costituzione ed il rispetto dei principi dell’Unione europea.
Né la limitazione regionale dell’abilitazione può essere superata in via interpretativa con la disposizione contenuta all’interno dell’articolo 7 del decreto ministeriale. Tale norma prevede “l’iscrizione nell’elenco nazionale delle guide turistiche dei siti di particolare interesse storico, artistico o archeologico, tenuto a livello nazionale dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, a seguito del superamento dell’abilitazione regionale”. Oltre alla genericità e indeterminatezza della disposizione, ha chiarito il Tar, se a seguito dell’abilitazione regionale può comunque svolgersi l’attività di guida turistica su tutto il territorio nazionale, per i siti individuati nel decreto, tale disciplina risulterebbe anche contraddittoria rispetto alla esigenza di garantire una specialità delle conoscenze relativamente a tali siti.
Ciò posto, ha concluso il Collegio, questa tipologia di limitazioni comportano una lesione al principio della libera prestazione dei servizi, sancito nel Trattato UE e, dunque, la violazione del rispetto del vincolo europeo costituzionalmente previsto oltre che della libera concorrenza, la cui tutela rientra nella esclusiva competenza statale.
A cura della Redazione Wolters Kluwer, Tar Lazio, sez. II quater, sentenza 24 febbraio 2017, n. 2817
Avvocato Francesco Murru
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