28 Ott Blue Whale: Il Fascino Perverso Dei Segreti
Nel presente articolo sosterrò che la relazione che si instaura fra i ragazzi che seguono Blue Whale e chi ci sta dietro è una relazione perversa. Illustrerò come funziona l’adescamento, quale ‘guadagno’ psicologico si ricava dall’aderire a questi programmi nonostante il dolore fisico e la costrizione psicologica e anche come la perversione sia collegata al narcisismo e al tono dell’umore.
Ogni relazione perversa inizia facendo sembrare innocenti azioni che invece possono nuocere molto. Si inizia sempre usando parole con valore positivo: nel caso di Blue Whale si chiama ‘gioco’ quello che è un programma di sterminio e l’operatore occulto si chiama ‘curatore’ (colui che si prende cura) o tutor (colui che tutela) quando è un carnefice. Se usiamo i nomi giusti cadiamo in meno tranelli.
L’usare parole con significato alterato si accompagna alla cosiddetta ‘tecnica della confidenza’: il curatore si esprime fin da subito con molta naturalezza come se conoscesse già il ragazzo e il primo invito che fa è al segreto. I segreti esercitano su di noi un fascino perverso perché ci inducono a credere di avere una posizione di vantaggio sugli altri, di superiorità. Quando abbiamo un segreto ci sentiamo potenti, in realtà siamo solo ricattabili; nel Blue Whale ci sono spesso minacce ai ragazzi di far del male ai loro genitori se rivelano qualcosa. Ecco che la superiorità si ribalta.
Fa presa sugli adolescenti perché sono in quel periodo della vita in cui vogliamo sentirci grandi cioè capaci di fare cose indipendentemente dai genitori; in cui l’approvazione dei coetanei è più importante di quella degli adulti; e in cui sperimentiamo l’ebrezza della libertà mai provata prima. Inoltre è il momento in cui dobbiamo trovare la nostra identità adulta accettando la sofferenza che rinunciare all’onnipotenza infantile ci procura.
Queste caratteristiche possono venire sfruttate dai sadici insieme alla naturale inesperienza. Una volta entrati questi ragazzi sono come costretti a convincersi che è un ‘bel gioco’. Da una parte il fare cose proibite, che pochi fanno e che richiedono coraggio, li esalta (l’esaltazione è l’antidoto al sentirsi piccoli e incapaci) e l’appartenenza ad una setta elitaria li fa sentire forti. Dall’altra se trovassero il coraggio di denunciare il ricatto dovrebbero anche confessare di essere stati manipolati e nessuno di noi vuole ammettere di essere stato uno sciocco!
Per cui i ragazzi stringono i denti e si convincono che il gioco vale la candela. Possibile – chiederà qualcuno – che non si rendano conto che perdendo la vita perdono tutto? Possibile: quando non riusciamo ad accettare i nostri limiti umani: sentirci piccoli, a volte incapaci o oppressi, spesso vittime di ingiustizie, succede che mettiamo in atto una qualche difesa inconscia di tipo narcisistico.
Narciso era colui che si sentiva ammirato da tutti perciò potente. Il cuore del narcisismo non è l’autocompiacimento, ma il tendere all’onnipotenza. Ecco perché l’euforia, l’esaltazione, la sensazione di potere che i ragazzi derivano dal programma è di stampo narcisistico perverso. Una delle conseguenze è di non credere che la morte li cancelli del tutto. Pensano di potersi vedere anche dopo.
Riassumendo: dalla normale irrequietezza adolescenziale si passa alla curiosità per il proibito, poi all’esaltazione unita al ricatto, quindi al prosieguo del ‘gioco’ mortale sia per offuscamento intellettuale che per la vergogna di chiedere aiuto.
Cosa fare? Inutile demonizzare la rete o condannare i genitori. Si può provare a cogliere i segni. Per esempio non banalizzare l’improvviso alzarsi alle 4,20 del mattino. I tagli anche sono un segno evidente.
Il compito, dei genitori e di tutti gli adulti della società, è di accompagnare i ragazzi e sostenerli in modo che siano in grado di sopportare il dolore psichico che la crescita e la maturazione comportano e non cedano al canto delle sirene…o delle balene!